Marco Rapp

un'altra storia di italiani che ce la fanno... all'estero

marco rapp

Di storie che parlano di italiani fuggiti all’estero ormai ne sentiamo molte. Quella di Marco Rapp, 42 anni, un passato come tecnico delle caldaie e la passione per la vela, ha qualcosa di diverso, di un po’ meno razionale, diciamo così. Tutto parte dall’amore per una donna, Irma, che poi diventa sua moglie e madre dei suoi figli. Fin qui sembra tutto semplice, ma le cose non sono state proprio così. Per raggiungere la sua posizione nell’azienda nella quale lavora da anni, si è dovuto rimboccare le maniche e, non solo ha fatto di tutto per cercare lavoro, ma è anche riuscito a guadagnarsi il diploma, in un altro paese e in una lingua che non è l’italiano.

L’ho incontrato la mattina di un ferragosto e mi ha raccontato un po’ di dettagli su quello che di diverso c’è in Austria che, senza dubbio, ha notevoli differenze sulla concezione del lavoro e dei giovani che non sono considerati un peso, ma una risorsa.

Perché hai deciso di vivere in Austria?

Fino al 2004 lavoravo qui a Livorno. L’estate di quell’anno ho fatto una vacanza in Croazia e ho conosciuto la donna che poi è diventata mia moglie che è Jugoslava ma che viveva già in Austria. Per tutto l’inverno abbiamo fatto i pendolari, su e giù per vederci fino a quando lei, con grande coraggio, decise di trasferirsi a Livorno. Abbiamo incominciato a provare a crearci una vita, ma non è stato facile, anzi è stato impossibile. Nel frattempo abbiamo deciso di avere un bambino. Vista la difficoltà di costruire qualcosa di concreto a livello lavorativo io mi sono licenziato e trasferito in Austria dove la situazione era migliore. Ci siamo ritrovati lì entrambi senza lavoro.

La lingua immagino abbia rappresentato un altro ostacolo…

Non sapevo il tedesco, ma dovevo impararlo. Lo feci. L’ufficio del lavoro in Austria offre corsi di lingua gratis a chi ne ha bisogno. Ti permette di seguire questo corso di tedesco per permetterti di essere piazzabile sul lavoro e da lì inizia tramite il tuo curriculum vitae e il livello di lingua che hai raggiunto, a cercare il lavoro per te. Io, però, lo cercavo anche da solo tramite i passa parola, i giornali, gli annunci. Internet non era ancora così indispensabile. Il mio primo lavoro è stato in un supermercato, un impiego part time per un mese. Dopo sostenni un colloquio con una ditta riuscendo a cavarmela bene con la lingua, tanto che il responsabile restò colpito da questo particolare e decise di assumermi.

Insomma mi sembra di capire che le cose non funzionano proprio come in Italia, sbaglio?

Lì c’era e c’è tanto lavoro. Pensa che dopo due anni in quella ditta a Salisburgo, mi accorsi che per me era un lavoro noioso perché si trattava di linee completamente automatiche. Così mi guardai intorno. E’ una cosa incredibile perché lì trovi davvero qualcosa, come è successo a me. Vicino a dove stavo io all’epoca c’era un’importante multinazionale che cercava personale. Tempo una settimana o due mi fecero un colloquio e mi assunsero. Avevano solo due turni, io entrai nella squadra notturna. Mi chiesi se fossi capace di lavorare solo di notte. Credevo che l’organismo si abituasse a certi ritmi, in realtà, non è stato proprio così. Quando hai una famiglia sei completamente escluso perché loro vivono di giorno e te di notte. Non è stato un momento felice.

Com’è cambiata poi la situazione? 

Per mia fortuna quell’azienda decise di chiudere lo stabilimento. Secondo le leggi austriache, l’azienda doveva dare un compenso economico alla Regione per ogni operaio che aveva lavorato lì dentro. La Regione poi attraverso un ufficio gestisce quei soldi, quelli della disoccupazione e anche quegli operai. E’ una specie di pentolone di soldi. Agli operai viene chiesto se preferiscono prendere la disoccupazione cercando lavoro o entrare in un programma dentro il quale sei costretto a fare una riqualificazione. Questo comporta la frequenza di un corso di due settimane e un coach. Alla fine si arriva a definire quel è la cosa migliore da riqualificare nell’arco di tre anni. Io non avevo nessuna qualifica, non avevo nemmeno finito la scuola, quindi decisi di iniziare il professionale.

Hai pensato tu all’organizzazione del tutto?

Assolutamente no. Ti seguono in tutto e per tutto. Anche il programma di studio è diverso. Si chiama professionale duale perché lavori in una ditta dove fai la pratica e ogni anno per quattro volte vai a scuola per due mesi e mezzo. In questi mesi frequenti solo la scuola senza pratica perché ti occupa tutto il giorno dal lunedì al venerdì. C’è tanto da studiare. Ero un po’ preoccupato dal mio livello di tedesco visto che erano solo tre anni che vivevo lì, ma capii che era fattibile anche per me. Mi impegnai e riuscii a diplomarmi con il massimo dei voti. Andò talmente bene che il preside della scuola chiamò il capo della ditta in cui lavoro per dirgli cosa avevo fatto. Lui mi chiamò a colloquio chiedendomi cosa volessi fare. Dopo un mese entrai in ufficio a fare il programmatore. Ci provai, per sei mesi disegnai circuiti elettrici, poi cominciai a fare programmazione. Ora lavoro lì da quasi tre anni. Con questo programma l’80/90% delle persone che aderiscono trovano lavoro.

E’ stato difficile trovare una casa?

No. Il sistema è completamente diverso rispetto all’Italia. Appena arrivati vivevamo nella casa di mio cognato, nel frattempo mia moglie cercava casa. La trovò dopo due settimane e ci restammo per un po’. Eravamo in una piccola città vicino a Salisburgo. Ci venne consigliato di andare a parlare con il sindaco per avere una nuova casa, migliore. Noi pensavamo che non ci ascoltasse nemmeno, invece gli abbiamo parlato dei nostri problemi e decise di scrivere una lettera a una organizzazione che si occupava di quelle che sono quasi l’equivalente delle case popolari qui. Hanno affitti più bassi a condizioni vantaggiose. Dopo una settimana ci chiamarono per scegliere la casa che volevamo tra quelle che stavano costruendo. Per noi era un miracolo, io a Livorno non ero abituato a certe cose. Siamo rimasti li per sei anni, poi ci è venuta voglia di comprare una casa nostra. Lì lo Stato ti permette di comprare casa dandoti un finanziamento che segue determinati criteri ed eco punti.

Trovarsi a fare, a chilometri di distanza, quello che avresti voluto fare nel tuo paese…

Sì, anche se in realtà in Italia non mi ero mai soffermato su quello che avrei voluto fare, non era possibile. Prendevo quello che c’era e dovevo anche essere contento. In Italia non è solo un problema di lavoro, io qui non avevo voglia, non avevo spinte. Lì ho conosciuto un altro mondo, ci sono possibilità, puoi scegliere e questo dà molta spinta ai ragazzi.

Senti la mancanza dell’Italia?

Dell’italia mi mancano diverse cose, gli amici, le persone. Qui il pensiero dell’amicizia è diverso, ha un altro valore. In Austria soffro ancora del fatto di non poter fare una battuta in italiano, devo tradurla, ma nonostante questo a volte non la capiscono. Ma ho paura a tornare in Italia.

Cosa comporta per un giovane trasferirsi all’estero da solo?

Il problema di un giovane che va all’estero, a meno che non abbia un carattere particolarmente speciale, è la resistenza perché da solo è difficile, specialmente in stati come l’Austria, la Germania e al nord in generale dove fare amicizia non è come magari in Spagna. Per fare amicizia hai bisogno di più tempo. Senza un amico o qualcuno che conosci è difficile farcela.

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